Fata roba

 

Al Popoli Pop Cult Festival 2024, un viaggio intimo e resiliente nel cuore dell’alluvione in Romagna, S. Agata sul Santerno, grazie a foto e parole di Pier Giorgio Missiroli e Andrea Ghinassi

 

Filo conduttore di immagini e parole in esposizione è l’alluvione del maggio 2023 che ha devastato Sant’Agata sul Santerno. “Questa mostra fotografica ci riporta a quei giorni.  Non si pone come asettica e distante documentazione di quello che si è perduto ma è un tentativo di riprendere le cose la “roba”, se non dal punto di vista materiale almeno da quello simbolico e mnemonico.  Gli oggetti sono i nostri compagni di vita che, in silenzio, raccontano di noi”.
“Tra i modi di dire più usati nel dialetto romagnolo, “Fata ròba” sintetizza, con solo due parole, concetti molto più articolati e complessi della traduzione in “Che roba” o “Che storia”. A seconda del contesto ma, soprattutto, dal tono di voce usato, un romagnolo può esprimere il suo profondo stupore, sorpresa e incredulità verso quello che sta ascoltando, leggendo, toccando, gustando o guardando. In entrambe le accezioni: positiva o negativa.
Ma se è quel “Fata”, espresso con enfasi, che amplifica esponenzialmente lo stupore provato è, invece, la “ròba” che può arrivare a comprendere persino l’infinito universo, materiale e immateriale. L’oggetto che contiene tutti gli oggetti (e i soggetti). Il tutto e il nulla. La potenza della sintesi in solo due parole. Non ultimo, “Fata ròba” è sempre la risposta giusta durante una conversazione, sia che siamo d’accordo o meno con quello che si è ascoltato.

L’alluvione che ha colpito Sant’Agata sul Santerno, contenitore della nostra comune cultura, vita sociale e storia, devastando e modificandone la topografia, ha compromesso solo ad un livello superficiale la nostra integrità come individui. Quello che invece ha portato via dalle nostre case, i mobili, i libri, le fotografie, i giochi dei nostri figli, ha inciso profondamente sulle nostre vite. Gli oggetti (la “ròba”) che ci circondano, oltre all’aspetto funzionale, si caricano di un valore immateriale. Raccontano chi siamo, la nostra storia e i nostri ricordi. Sono una rappresentazione esterna della nostra identità.
Lo ripeteremo più volte, ma sappiamo benissimo che non tornerà “tutto com’era prima”. Non tutte le cose andranno al loro posto. Anche se avremo tutte le risposte dal punto di vista economico, sociale, tecnico, idrogeologico e meteorologico,se non cercheremo una rielaborazione emotiva di quanto accaduto, il lavoro non sarà completato.
Questa mostra fotografica ci riporta a quei giorni. Non si pone come asettica e distante documentazione di quello che si è perduto ma è un tentativo di riprenderci le nostre cose, se non dal punto di vista materiale almeno da quello simbolico e mnemonico. Non è un requiem, un addio, un eterno riposo agli oggetti persi, ma un percorso di memoria e consapevolezza emotiva, collettiva e individuale.
Gli oggetti sono i nostri compagni di vita che, in silenzio, raccontano di noi.”

 

Apertura con ingresso libero nei giorni 27,28,29, 30 giugno dalle ore 19 alle ore 23.30

Via Terraglio a settentrione